23GENNAIO1984, l'anno da record di Moser

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saro61
CAT_IMG Posted on 23/1/2014, 03:43     +1   -1





1984, l'anno da record di Moser



Il 1984 ha rappresentato una svolta storica nel ciclismo. Svolta che porta la firma di Francesco Moser e dell’Equipe Also-Enervit artefice determinante delle sue straordinarie imprese, dal doppio record dell’ora a Città di Messico al successo nella Milano-Sanremo, inseguito invano per ben undici anni, per concludersi con la consacrazione ufficiale di campione completo grazie alla vittoria nel Giro d’Italia conseguita proprio l’ultimo giorno, nella splendida, suggestiva, irripetibile scenografia dell’Arena di Verona. Il ciclismo ci ha messo degli anni per capire l’importanza di tale svolta, scegliendo come spesso accade, la più facile delle scorciatoie, quella dell’aiuto esterno quale l’autoemotrasfusione, condannata come pratica dopante dal Cio solo dopo i Giochi di Los Angeles. La manipolazione del sangue, con l’avvento dell’epo di varie generazioni, ha rappresentato una vera piaga non solo per l’antico sport delle due ruote ma per tutte le discipline, ma questa “deviazione” nulla toglie ai metodi innovativi introdotti dall’Equipe Enervit.
Il record dell’ora, prima dell’assurda ed insulsa decisione dell’Uci di azzerare tutti quelli conquistati in altura o con bici e posizioni aerodinamiche speciali, era uno dei massimi obiettivi della carriera di un corridore. Il limite di 49,432 ottenuto da Eddy Merckx a Città di Messico nel 1972 pareva inattaccabile data la statura del più forte corridore che abbia mai inforcato una bici. Ma il professor Enrico Arcelli durante uno dei suoi viaggi in Messico, aveva riscontrato clamorose pecche nella programmazione del record del Cannibale, anche perché nel frattempo la tecnologia e soprattutto i metodi di allenamento avevano fatto passi da gigante. Nel 1981 aveva approntato un piano di lavoro per lo svizzero Daniel Gisiger, specialista nelle prove a cronometro, ma alla fine non se n’era fatto nulla.
Francesco Moser, invece sposò subito l’idea, anche perché a trentadue anni la
sua carriera pareva in declino. Mentre nell’inverno 1983-84 ecco la svolta che gli regalò altre immense soddisfazioni a coronamento di una carriera che più luminosa non poteva essere, né lui poteva immaginare. Il campione trentino poté contare su un gruppo di scienziati di altissimo valore, il cui coordinamento era stato affidato da Paolo Sorbini, patron della Also, ad Enrico Arcelli, medico sportivo, membro del Centro Studi e Ricerche della Federatletica. Si trattava di esperti di ben quattro università, Milano, Roma, Ferrara e Pavia, da Arrigo a Conconi, da Ferrario a Dal Monte, da Tredici a Somenzini, da Ferrari a Mognoni, da Aldo Sassi a Casoni.
Dopo un sopralluogo a Città di Messico, nel novembre del 1983, la scelta della pista cadde su quella del Centro Deportivo Olimpico Mexicano su cui sarebbero stati effettuati interventi particolari (la stesura di una sorta di resina) per rendere più scorrevole l’anello in cemento, sicuramente meglio conservato rispetto al Velodromo Olimpico che aveva ospitato il record di Merckx giudicato “inavvicinabile”. La marcia di avvicinamento al record da parte di Moser, che seguiva un dettagliato programma di allenamento studiato da Aldo Sassi, fu accompagnata da uno scetticismo generalizzato. Tutti i giornalisti di ciclismo asserivano che era impossibile battere il record di Merckx, al massimo il campione trentino avrebbe potuto avvicinarsi a quello di Ritter cui aveva assistito su invito del patron del corridore danese. Unica voce fuori dal coro quella del Corriere della Sera. Per un motivo semplice: Enrico Arcelli, oltre ad essere un prezioso collaboratore del quotidiano di via Solferino era legato da profonda amicizia a Daniele Parolini, caposervizio allo sport e quindi era riuscito a trasferirgli tutti i messaggi positivi che l’impresa comportava.
Anzitutto l’allenamento, lavori di forza, le cosiddette ripetute che avrebbero consentito a Francesco di spingere un rapporto pazzesco, quasi otto metri a pedalata. Non solo, il test Conconi che rivela la soglia anaerobica (quando cioè il corpo umano non ha bisogno di produrre acido lattico per alimentarsi) è divenuto prassi comune e più nessun atleta si prepara senza ricorrere al cardiofrequenzimetro. Nel ciclismo si è quindi affacciata per la prima volta la presenza di un preparatore atletico. Altro fatto importante la rivoluzione nel campo alimentare. Fino a quell’epoca il pasto tradizionale di un ciclista consisteva in un piatto di riso in bianco e bistecca al sangue. I dietologi dell’Equipe Enervit hanno invece dimostrato l’importanza dei carboidrati e, da quel momento, le abitudini alimentari degli atleti hanno subìto una radicale trasformazione. Altro elemento determinante che ha segnato una svolta nel ciclismo, la ricerca della stabilità del mezzo anche a dispetto del peso e l’invenzione del professor Dal Monte delle ruote lenticolari.
In base a questi dati Arcelli e la sua equipe avevano preventivato che Moser potesse battere il muro dei cinquanta orari. Cosa che si verificò puntualmente.
Il periodo scelto per il tentativo era previsto per fine gennaio, dopo aver scartato l’ipotesi di prolungare la preparazione fino a marzo. Per acclimatarsi al meglio, Moser era partito per Città di Messico subito dopo Natale insieme con la moglie Carla e la piccola Francesca, che aveva appena un anno. Prima di tentare l’ora, era previsto un test sui 20 chilometri. Qualora fosse stato in vantaggio sulla tabella prevista, Moser avrebbe allungato il tentativo fino a sfidare l’ora di Merckx.
Il giorno prima del tentativo, a Città di Messico era arrivato un charter con una quarantina di giornalisti. Durante il volo, Enrico Arcelli aveva tenuto una conferenza stampa usando il megafono che serviva all’evacuazione dell’aereo in caso di emergenza. Io, invece, come inviato del Corriere della Sera ero già in Messico perché la rigida politica aziendale di allora vietava a tutti di accettare inviti. “Se un avvenimento merita di essere seguito, il Corriere ha il dovere di mandare qualcuno e quindi copre tutte le spese del caso”.
Questa era la regola, applicata alla lettera anche per il tentativo di Moser. Il giorno stabilito per il cosiddetto “assaggio” non era dei più favorevoli. C’era una forte umidità, la temperatura era più rigida che nei giorni precedenti. Quindi l’attesa fu più lunga del previsto, con gente sugli spalti che cominciava a rumoreggiare. Poi attorno a mezzogiorno l’inizio di uno degli avvenimenti più straordinari cui abbia mai assistito. Moser inanellava giri su giri, sempre composto, sempre in vantaggio sulla tabella prevista, tanto che dopo aver migliorato il record di Merckx sui 20 chilometri continuò la sua straordinaria cavalcata. Ancora adesso, a distanza di 25 anni, mi pare si sentire l’urlo dello speaker messicano che annunciava a tutti “Va por la hora, va por la hora”. Alla fine Francesco Moser polverizzò il record di Merckx, migliorandolo di ben 1.376 metri. Il muro dei cinquanta all’ora era stato infranto, perché aveva percorso km 50,808.
Quello che impressionò tutti i presenti, c’erano anche il c.t. Alfredo Martini ed il c.t. della nazionale di calcio, Enzo Bearzot, fu la disinvoltura con cui Moser, dopo qualche giro di defatigamento rispose alle domande di Adriano De Zan. Mentre Merckx alla fine del suo tentativo non riusciva nemmeno a reggersi, il trentino pareva reduce da una semplice allenamento. Straordinario davvero.
Però Francesco Moser non si fermò a quel fantastico giovedì. Il lunedì avrebbe provato a migliorarsi perché dall’Italia stavano arrivando centinaia di tifosi e lui non voleva deluderli. Riuscì nell’impresa di migliorare se stesso, dopo aver sfondato il muro dei cinquanta abbattè anche quello dei cinquantuno, ottenendo quel fantastico 51,151 che per lungo tempo è stato giudicato “un marchio di qualità”. Il secondo tentativo fu condizionato da diversi contrattempi. Anzitutto una fastidiosa lacerazione al perineo procuratasi nel primo record perché scivolava sulla bicicletta. Poi la presenza di folate di vento, molto forti ed irregolari che hanno impedito al campione trentino di pedalare con la stessa scioltezza del record numero uno. In ogni caso quella duplice impresa resta impressa nella storia del ciclismo, anche se a distanza di anni il campione “acqua e sapone” come l’aveva definito Candido Cannavò sulla Gazzetta dello Sport del 24 gennaio ’84 ammise di aver fatto ricorso all’autoemotrasfusione. Si disse allora che i continui rinvii del record non fossero dovuti ad avverse condizioni metereologiche ma al mancato arrivo del sangue dall’Italia (giunto in Messico da Houston con una valigia diplomatica perché un funzionario dell’ambasciata italiana in Messico era andato a recuperare il prezioso carico negli Stati Uniti dove era giunto senza problemi).
Il professor Giovanni Tredici, che ha seguito giorno dopo giorno Moser nella sua straordinaria avventura ha detto: «Sotto l’aspetto psicologico l’autoemotrasfusione ha avuto un ottimo impatto sul corridore. Analizzando la curva di crescita del suo rendimento, non ho riscontrato particolari significativi dopo che l’ha praticata. Credo quindi che avrebbe migliorato i record dell’ora anche senza farvi ricorso». Sulle ali di quella duplice fantastica impresa e sfruttando quella preparazione (5.000 chilometri nelle gambe) Moser si rituffò sulla strada continuando ad affidarsi ai suoi preparatori. Aldo Sassi lo convinse a rinunciare alla Tirreno-Adriatico per concentrarsi meglio sulla Milano-Sanremo, facendo allenamenti mirati, di potenziamento, con lunghi tratti dietro moto. E Francesco Moser riuscì così a centrare uno dei traguardi cui teneva di più e che gli erano sempre sfuggiti: la classicissima di Primavera.
Francesco Moser è sceso di bici da un pezzo. Ha avuto altre responsabilità, ha toccato altre realtà. Ma resta nel cuore degli appassionati di ciclismo per le emozioni cha ha saputo regalare e per la svolta che ha saputo dare ad una disciplina che non sempre sceglie la strada più facile, ma che cerca con sempre maggior credibilità di essere frequentata da atleti “acqua e sapone”.

FONTE DAL WEB
 
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