Gabriele D’Annunzio, Il 1 marzo del 1938 ci lasciava

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saro61
CAT_IMG Posted on 1/3/2015, 16:58     +1   -1






Oggi ricordiamo l'anniversario di nascita dello scrittore partigiano Beppe Fenoglio e l'anniversario di morte del padre del Decadentismo italiano, Gabriele D'Annunzio


MILANO – Il mondo letterario ricorda oggi l'anniversario di nascita dello scrittore, poeta, drammaturgo e giornalista italiano Gabriele D'Annunzio: considerato simbolo del Decadentismo italiano fu anche aviatore, militare e politico. Ricorre oggi anche l'anniversario della nascita di Giuseppe Fenoglio, detto Beppe, scrittore e partigiano italiano.


GABRIELE D’ANNUNZIO - Nato a Pescara il 12 Marzo 1863 da Francesco D'Annunzio e Luisa de Benedictis, Gabriele é il terzogenito di cinque fratelli. Fin dalla più tenera età spicca tra i coetanei per intelligenza e per una precocissima capacità amatoria.

FORMAZIONE - Il padre lo iscrive al reale collegio Cicognini di Prato, costoso convitto celebre per gli studi severi e rigorosi. La sua è una figura di allievo irrequieto, ribelle e insofferente alle regole collegiali, ma studioso, brillante, intelligente e deciso a primeggiare. Nel 1879 scrive una lettera al Carducci, nella quale chiede di poter inviare al «gran vate» della poesia italiana, alcuni suoi versi. Al termine degli studi liceali consegue la licenza d'onore. Nel novembre 1881 D'Annunzio si trasferisce a Roma per frequentare la facoltà di lettere e filosofia, ma si immerge con entusiasmo negli ambienti letterari e giornalistici della capitale, trascurando lo studio universitario.

IL PIACERE - Collabora al Capitan Fracassa e alla Cronaca Bizantina di Angelo Sommaruga e pubblica qui nel maggio 1882 il «Canto Novo» e «Terra Vergine». Questo è anche l'anno del suo matrimonio con la duchessina Maria Altemps Hordouin di Gallese. Da segnalare che già in quest'epoca D'Annunzio è perseguitato dai creditori, a causa del suo stile di vita eccessivamente dispendioso. Nasce il suo primogenito Mario. Nell'aprile 1886 nasce il secondo figlio, ma D'Annunzio riacquista l'entusiasmo artistico e creativo solo quando incontra ad un concerto il grande amore, Barbara Leoni, ossia Elvira Natalia Fraternali. La relazione con la Leoni crea non poche difficoltà a D'Annunzio che, si ritira in un convento a Francavilla dove elabora in sei mesi «Il Piacere».

L’AMORE CON ELEONORA DUSE - Il nuovo anno si apre nuovamente nel segno della solitudine del convento, dove D'Annunzio elabora il "Trionfo della morte". In settembre, trovandosi a Venezia, conosce Eleonora Duse. In autunno si stabilisce nel villino Mammarella, a Francavilla con la Gravina e la figlia e inizia la faticosa elaborazione del romanzo "Le vergini delle rocce" apparso a puntate sul convito e poi in volume presso Treves con data 1896. Nell'estate 1901 nasce invece il dramma "Francesca da Rimini", anche se questi sono anni prevalentemente contrassegnati dall'intensa produzione delle liriche di "Alcyone", e del ciclo delle Laudi. In estate D'Annunzio si trasferisce a villa Borghese dove elabora la "Figlia di Iorio".

LA FUGA PER I DEBITI - Venuto meno il sentimento tra la Duse e D'Annunzio e incrinatosi definitivamente il loro rapporto, il poeta ospita alla Capponcina, una residenza estiva, Alessandra di Rudinì, vedova Carlotti, con la quale instaura un tenore di vita oltremodo lussuoso e mondano, trascurando l'impegno letterario. Le immense difficoltà economiche costringono D'Annunzio ad abbandonare l'Italia e a recarsi nel marzo 1910 in Francia. Assediato dai creditori, fugge in Francia, dove si reca nel marzo 1910, accompagnato dal nuovo amore, la giovane russa Natalia Victor de Goloubeff. Trascorre anche qui cinque anni immerso negli ambienti mondani intellettuali.

L’ESPERIENZA MILITARE - Inviato dal governo italiano a inaugurare il monumento dei Mille a Quarto, D'Annunzio, il 14 maggio 1915 rientra in Italia presentandosi con una orazione interventista e antigovernativa. Dopo aver sostenuto a gran voce l'entrata in guerra contro l'impero Austro-ungarico, non esita ad indossare i panni del soldato l'indomani della dichiarazione. Si arruola come tenente dei Lancieri di Novara e partecipa a numerose imprese militari. Nel 1916 un incidente aereo gli causa la perdita dell'occhio destro; assistito dalla figlia Renata, nella «casetta rossa» di Venezia, D'Annunzio trascorre tre mesi nella immobilità e al buio, componendo su liste di carta la prosa memoriale e frammentaria del "Notturno". Dopo l'esperienza militare D'Annunzio elegge come sua dimora la villa Cargnacco sul lago di Garda, cura la pubblicazione delle opere più recenti, i già citati "Notturno" e i due tomi delle "Faville del maglio".

D’ANNUNZIO E IL FASCISMO - I rapporti di D'Annunzio con il fascismo non sono ben definiti: se in un primo tempo la sua posizione è contraria all'ideologia di Mussolini, in seguito la adesione scaturisce da motivi di convenienza, consoni allo stato di spossatezza fisica e psicologica, nonché a un modus vivendi elitario ed estetizzante. Non rifiuta, quindi, gli onori e gli omaggi del regime: nel 1924, dopo l'annessione di Fiume il re, consigliato da Mussolini, lo nomina principe di Montenevoso, nel 1926 nasce il progetto dell'edizione "Opera Omnia" curato dallo stesso Gabriele; i contratti con la casa editrice "L' Oleandro" garantiscono ottimi profitti a cui si aggiungono sovvenzioni elargite da Mussolini: D'Annunzio, assicurando allo stato l'eredità della villa di Cargnacco, riceve i finanziamenti per renderla una residenza monumentale: nasce così il «Vittoriale degli Italiani», emblema del vivere inimitabile di D'Annunzio. Al Vittoriale l'anziano Gabriele ospita la pianista Luisa Bàccara, Elena Sangro che gli rimane accanto dal 1924 al 1933, inoltre la pittrice polacca Tamara De Lempicka.

ULTIMI ANNI DI VITA - Entusiasta della guerra di Etiopia, D'Annunzio dedica a Mussolini il volume "Teneo te Africa". Ma l'opera più autentica dell'ultimo D'Annunzio è il "Libro segreto", a cui affida riflessioni e ricordi nati da un ripiegamento interiore ed espressi in una prosa frammentaria. L'opera testimonia la capacità del poeta di rinnovarsi artisticamente anche alle soglie della morte, giunta l'1 marzo 1938.





GIUSEPPE FENOGLIO - Nasce il 1 marzo 1922 ad Alba, da Margherita Faccenda e da Amilcare Fenoglio. Il padre è originario delle langhe, terra cui il futuro scrittore resterà sempre molto legato, che richiama nella sua memoria i concetti di “ancestrale” e “atavico”. I ricordi delle estati trascorse lì, a contatto con le proprie origini contadine, saranno materia di diversi racconti. Ad Alba frequenta la scuola elementare con successo, ottenendo il consenso a essere iscritto al Ginnasio e al Liceo Classico. Tra i suoi insegnanti al liceo si ricordano Leonardo Cocito, professore di lingua italiana che parteciperà alla Resistenza e sarà impiccato dai tedeschi il 7 settembre 1944, e Pietro Chiodi, professore di storia e filosofia e partigiano durante la guerra, deportato in un campo di concentramento. Queste due figure lo segneranno molto e saranno per lui maestri dell’antifascismo. In “Primavera di Bellezza”, scritto nel 1959, dove tornano tanti ricordi legati al periodo del liceo, Cocito e Chiodi si celano rispettivamente sotto i panni di Corradi e Monti.


LA PASSIONE PER LA LETTERATURA INGLESE – Sono gli anni delle superiori in cui Fenoglio sviluppa anche la sua passione per la letteratura inglese, legge Shakespeare, Marlowe, Hopkins e Browning. In generale, nel decennio prima della Seconda guerra mondiale il mondo letterario italiano è segnato proprio dalla scoperta della letteratura inglese. Basti pensare che in questi anni nascono le famose traduzioni di Cesare Pavese e che nel 1941 Elio Vittorini cura la prima edizione dell’antologia “Americana”. Fenoglio risente forse, anche se inconsapevolmente, di questo clima. In ogni caso, la letteratura anglosassone gli offre un’alternativa al provincialismo della cultura fascista. Nel 1940, quando l’Italia entra in guerra, molti dei suoi compagni partono per il fronte.

DALL’UNIVERSITÀ ALL’ESPERIENZA PARTIGIANA – In quell’anno lui si iscrive alla facoltà di Lettere a Torino, ma l’esperienza universitaria, per lui che sognava Oxford, si rivela deludente. La chiamata alle armi arriva alla fine anche per lui, sicché è costretto ad abbandonare gli studi per seguire a Roma il corso per ufficiali. In quegli anni scopre la letteratura italiana, legge Gabriele D’Annunzio e si accosta per breve tempo alla cultura fascista, seppure sia più vicino a ideali di sinistra. Quando viene firmato l’armistizio l’8 settembre 1943, Fenoglio si nasconde in un rifugio con il fratello, ma nel 1944 inizia la sua esperienza partigiana nelle Langhe. Prima milita tra le fila dei garibaldini, o “rossi”, poi dei badogliani, o “azzurri”, guidati dal comandante Mauri che compare ne “Il partigiano Johnny”, del 1968, con il nome Nord. Partecipa all’occupazione di Alba da parte dei partigiani tra il 9 e il 10 ottobre 1944 e parla di quest’esperienza nel libro “I ventitré giorni della città di alba”, del 1952, la sua prima opera pubblicata. Partecipa anche alla battaglia di Valdivilla e alla liberazione del Piemonte nell’aprile del 1945.

GLI ANNI DELL’ATTIVITÀ LETTERARIA – Alla fine della guerra decide di non riprendere l’università. Preferisce ritirarsi in provincia a scrivere, isolato dal resto del mondo letterario. In questi anni riprende anche lo studio della grande letteratura inglese di età vittoriana e traduce in italiano “Evelyn Hope” di Browning, “Assassinio nella cattedrale” di Eliot e “La ballata del vecchio marinaio” di Coleridge. Dopo l’esordio, il successo di critica arriva nel 1954 con “La malora”, cui segue “Primavera di Bellezza”. Nel 1960 si sposa e ha una figlia, ma già nel 1962 manifesta i primi segni di un male che lo porterà alla morte e che successivamente si scopre essere un tumore ai polmoni. Fenoglio scompare il 18 febbraio 1963 a soli 41 anni, lasciando diverse opere incompiute. È con le pubblicazioni postume che Fenoglio raggiunge davvero la fama. Tra queste, i racconti di “Un giorno di fuoco”, usciti nel 1963, “Una questione privata”, continuazione di “Primavera di Bellezza”, uscito sempre nel 1963, “Il partigiano Johnny”, una cronaca partigiana pubblicata nel 1969, e il romanzo “La paga del sabato”, apparso nel 1969.


Il primo marzo del 1938 ci lasciava uno dei poeti e scrittori più importanti, famosi e amati della letteratura italiana, “il Vate” Gabriele D’Annunzio. Lo celebriamo attraverso una selezione delle sue poesie più amate.



O FALCE DI LUNA CALANTE

O falce di luna calante

che brilli su l’acque deserte,

o falce d’argento, qual mèsse di sogni

ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!



Aneliti brevi di foglie,

sospiri di fiori dal bosco

esalano al mare: non canto non grido

non suono pe ’l vasto silenzio va.



Oppresso d’amor, di piacere,

il popol de’ vivi s’addorme...

O falce calante, qual mèsse di sogni

ondeggia al tuo mite chiarore qua giù!



PASTORI D'ABRUZZO

Settembre. Andiamo è tempo di migrare.

Ora in terra d’Abruzzo i miei pastori

lascian gli stazzi e vanno verso il mare,

vanno verso l’Adriatico selvaggio

che verde è come i pascoli dei monti.

Han bevuto profondamente ai fonti alpestri

ché sapor d’acqua natia

rimanga nei cuori esuli a conforto,

che lungo illuda la lor sete in via.

Rinnovato hanno verga d’avellano.

E vanno pel tratturo antico al piano

quasi per un erbal fiume silente,

su le vestigia degli antichi padri.

Oh voce di colui che primamente

conobbe il tremolar della marina!

Ora lungh’esso il litoral

cammina la greggia.

Senza mutamento è l’aria

e il sole imbionda sì la viva lana

che quasi dalla sabbia non divaria.

Isciacquìo, calpestìo, dolci rumori,

ah perché non son io coi miei pastori?



STRINGITI A ME

Stringiti a me,

abbandonati a me,

sicura.

Io non ti mancherò

e tu non mi mancherai.

Troveremo,

troveremo la verità segreta

su cui il nostro amore

potrà riposare per sempre,

immutabile.

Non ti chiudere a me,

non soffrire sola,

non nascondermi il tuo tormento!

Parlami,

quando il cuore

ti si gonfia di pena.

Lasciami sperare

che io potrei consolarti.

Nulla sia taciuto fra noi

e nulla sia celato.

Oso ricordarti un patto

che tu medesima hai posto.

Parlami

e ti risponderò

sempre senza mentire.

Lascia che io ti aiuti,

poiché da te

mi viene tanto bene!



UN RICORDO

Io non sapea qual fosse il mio malore

né dove andassi. Era uno strano giorno.

Oh, il giorno tanto pallido era in torno,

pallido tanto che facea stupore.



Non mi sovviene che di uno stupore

immenso che quella pianura in torno

mi facea, cosí pallida in quel giorno,

e muta, e ignota come il mio malore.



Non mi sovviene che d'un infinito

silenzio, dove un palpitare solo,

debole, oh tanto debole, si udiva.



Poi, veramente, nulla piú si udiva.

D'altro non mi sovviene. Eravi un solo

essere, un solo; e il resto era infinito.



IL VENTO SCRIVE

Su la docile sabbia il vento scrive

con le penne dell'ala; e in sua favella

parlano i segni per le bianche rive.



Ma, quando il sol declina, d'ogni nota

ombra lene si crea, d'ogni ondicella,

quasi di ciglia su soave gota.



E par che nell'immenso arido viso

della pioggia s'immilli il tuo sorriso.



CANTA LA GIOIA

Canta la gioia! Io voglio cingerti

di tutti i fiori perché tu celebri

la gioia la gioia la gioia,

questa magnifica donatrice!



Canta l'immensa gioia di vivere,

d'esser forte, d'essere giovine,

di mordere i frutti terrestri

con saldi e bianchi denti voraci,



di por le mani audaci e cupide

su ogni dolce cosa tangibile,

di tendere l'arco su ogni

preda novella che il desìo miri,



e di ascoltare tutte le musiche,

e di guardare con occhi fiammei

il volto divino del mondo

come l'amante guarda l'amata,



e di adorare ogni fuggevole

forma, ogni segno vago, ogni immagine

vanente, ogni grazia caduca,

ogni apparenza ne l'ora breve.

Canta la gioia! Lungi da l'anima

nostro il dolore, veste cinerea.



L'ULIVO

Laudato sia l'ulivo nel mattino!

Una ghirlanda semplice, una bianca

tunica, una preghiera armoniosa

a noi son festa.



Chiaro leggero è l'arbore nell'aria

E perché l'imo cor la sua bellezza

ci tocchi, tu non sai, noi non sappiamo,

non sa l'ulivo.



Esili foglie, magri rami, cavo

tronco, distorte barbe, piccol frutto,

ecco, e un nume ineffabile risplende

nel suo pallore!



O sorella, comandano gli Ellèni

quando piantar vuolsi l'ulivo, o côrre,

che 'l facciano i fanciulli della terra

vergini e mondi,



imperocché la castitate sia

prelata di quell'arbore palladio

e assai gli noccia mano impura e tristo

alito il perda.



Tu nel tuo sonno hai valicato l'acque

lustrali, inceduto hai su l'asfodelo

senza piegarlo; e degna al casto ulivo

ora t'appressi.



Biancovestita come la Vittoria,

alto raccolta intorno al capo il crine,

premendo con piede àlacre la gleba,

a lui t'appressi.



L'aura move la tunica fluente

che numerosa ferve, come schiume

su la marina cui l'ulivo arride

senza vederla.



Nuda le braccia come la Vittoria,

sul flessibile sandalo ti levi

a giugnere il men folto ramoscello

per la ghirlanda.



Tenue serto a noi, di poca fronda,

è bastevole: tal che d'alcun peso

non gravi i bei pensieri mattutini

e d'alcuna ombra.



O dolce Luce, gioventù dell'aria,

giustizia incorruttibile, divina

nudità delle cose, o Animatrice,

in noi discendi!



Tocca l'anima nostra come tocchi

il casto ulivo in tutte le sue foglie;

e non sia parte in lei che tu non veda,

Onniveggente!
FONTE DAL WEB
 
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